Da La Repubblica: " Tutte le vie della previdenza integrativa"

Il futuro delle nostre pensioni è già cominciato e noi non ce ne siamo quasi accorti. Accecati dall' effetto lontananza, non abbiamo ancora compreso del tutto che molte cose sono cambiate. Irreversibilmente.

Sono quasi finite le coorti di lavoratori che si trovavano interamente nel più vantaggioso calcolo "retributivo" e stanno cominciando ad andare in pensione coloro che si trovano con più della metà della contribuzione di una vita con il meno vantaggioso calcolo "contributivo". Fra non molti anni, una decina o poco più, cominceranno a lasciare il lavoro magari con dei prepensionamenti che sono sempre alle porte in qualche settore industriale anche coloro che si trovano interamente nel metodo contributivo e che dunque avranno generalmente pensioni più basse dei loro predecessori.

I calcoli sono vari e non è possibile dire una parola definitiva su ogni singolo lavoratore (bisognerà fare misurazioni ad hoc su ciascuno), ma si valuta che coloro che avranno avuto una vita lavorativa con crescita "piatta" delle retribuzioni, l' assegno pensionistico potrà valere al massimo il 60 per cento dell' ultima retribuzione (cosiddetto "tasso di sostituzione"). Molto più basso, invece, sarà per coloro che avranno avuto una forte progressione di carriera e saranno magari diventati dirigenti: per loro si ipotizza che il tasso di sostituzione possa scendere fino al 40 per cento. Una percentuale quasi "americana": anche negli Stati Uniti, infatti, esiste una pensione di base pubblica simile a quella che eroga il nostro Inps (o di istituti sostitutivi dell' assicurazione generale obbligatoria), ma è sempre stata molto bassa. Nel prossimo futuro, anche l' Italia si avvicinerà ai livelli infimi di copertura della pensione rispetto all' ultima retribuzione.

Ma negli Stati Uniti ci sono i fondi pensione a raddrizzare la situazione anche se non per tutti i lavoratori, ma soltanto per quelli che hanno un datore di lavoro stabile che paga l' assistenza sanitaria e l' integrazione alla magra pensione pubblica.

Anche in Italia ci sono i Fondi pensione. Sono stati istituiti con il decreto legislativo 124/93 e sono divisi in "negoziali" o "chiusi" (ovvero di categoria), e "aperti" (gestiti dalle banche e dalle assicurazioni). In più c' è un terzo prodotto solo assicurativo, il Fip o Pip (forma o piano individuale previdenziale). Tuttavia e questo è forse il più grande problema questi strumenti non sono ancora sviluppati come dovrebbero essere. Considerando che il loro rendimento dovrà coprire quel che mancherà alle pensioni. Ma perché le pensioni sono state riformate? Non si potevano lasciare com' erano prima delle riformecardine del 1992 (Riforma Amato) e del 1995 (cosiddetta Riforma Dini)? La domanda è lecita perché quelle riforme (e i successivi adeguamenti) sono stati peggiorativi della situazione precedente.

Evidentemente la crescita della spesa pensionistica non poteva più essere finanziata, semplicemente perché a un certo punto l' Italia ha cominciato ad invecchiare. In altre parole, sono arrivati e arriveranno sempre meno giovani a pagare le pensioni di chi lascia il lavoro attivo. Infatti il sistema pensionistico pubblico di base è in Italia e in Europa (ma persino negli Stati Uniti) "a ripartizione", cioè è chi lavora a pagare l' assegno previdenziale di chi è in quiescenza.

L' Inps, dunque, non poteva più permettersi il lusso di pagare pensioni troppo alte. E lo Stato non poteva neppure mettere risorse su questo fronte perché già oberato da mille problemi e soprattutto da un debito pubblico gigantesco, intorno al 120 per cento del Pil. Dunque era inevitabile tagliare le pensioni, e questo è ciò che è stato fatto.

Tuttavia bisognava far sì che i lavoratori mettessero da parte qualcosa anno per anno per compensare la perdita della pensione di base. Non era certo facile convincere le famiglie, sempre più a corto di risorse, ad accantonare nuovo risparmio. Si è così trovata una strada relativamente "indolore", cercando di spostare l' accumulazione del Tfr (trattamento di fine rapporto) verso i fondi pensione. Questo spostamento non poteva però essere obbligatorio, almeno per tutti coloro (la quasi totalità, all' inizio) che si trovavano a metà del guado, abituati all' idea di trovarsi alla fine della vita lavorativa con un bel gruzzoletto costituito dal Tfr accumulato. Si è così reso obbligatorio soltanto per i nuovi assunti, che alla fine del periodo lavorativo si ritroveranno certo una pensione integrativa sotto forma di fondo pensione (o strumento assimilato) in grado di offrire un supporto alla magra pensione di base, ma in compenso non avranno più la cosiddetta "liquidazione".

Tutti coloro che non erano obbligati a passare dal Tfr al Fondo pensione pur essendo relativamente giovani e dunque prospettandosi per loro una pensione abbastanza ridotta si sono generalmente tenuti il trattamento di fine rapporto. Soltanto una quota relativamente bassa, intorno al 22 per cento, ha optato per i fondi pensione.

Decisione giusta o sbagliata? Qui le opinioni sono abbastanza divergenti. Per alcuni, calcoli alla mano, il Tfr quando i tassi d' interesse sono molto bassi com' è accaduto all' Italia dopo l' ingresso nell' Euro garantisce un ritorno certo e sufficientemente remunerativo, ben oltre l' inflazione. Questo meccanismo fu pensato quando in Italia i tassi erano molto elevati: infatti, intorno al 6 per cento o più d' inflazione, il rendimento del Tfr diventa negativo. Siccome però, entrando nell' euro, l' Italia si è trovata in un circolo virtuoso di bassi tassi, ciò ha favorito i lavoratori che hanno il Tfr.

Tuttavia, secondo molti autorevoli studiosi, soltanto un fondo pensione, che investa anche o prevalentemente in azioni e quindi partecipa nel corso di decenni all' aumento complessivo della ricchezza può dare rendimenti più elevati. Questa opinione era maggioritaria, ma poi la grande crisi del 2008 ha spazzato via molte idee che si davano per scontate. Al momento, nell' arco degli ultimi dieci anni (un periodo comunque insufficiente a vedere cosa accade davvero nel lungo termine) Tfr e fondi pensione hanno avuto rendimenti non molto dissimili. È pur vero, però, che quando si parla di fondi pensione si parla di un insieme eterogeneo di strumenti: si va da quelli puramente monetari (con poco o nessun rischio ma che però rendono davvero poco) a quelli completamente azionari, dove il rischio, almeno nel breve termine, è notevole.

Comunque sia, una differenza ancora permane tra i due strumenti: con i il Tfr il lavoratore si porta a casa un gruzzoletto e poi decide cosa farci: magari lo può anche trasformare, andando da una compagnia d' assicurazione, in una rendita vitalizia, in tutto o in parte. Invece nel caso dei fondi pensione è obbligatorio trasformare almeno la metà del montante in una rendita vitalizia, ovvero una pensione aggiuntiva da aggiungere a quella di base. Quest' ultima regolamentazione appare più congrua in vista di assicurare una pensione dignitosa a tutti. Infatti, nel caso del Tfr, qualcuno poco previdente potrebbe anche essere tentato di fare spese pazze, restando poi con una pensione da fame nella vecchiaia. E se poi si considera che l' età media si è continuamente allungata nel corso degli ultimi decenni, per molti potrebbe materializzarsi lo spettro di una lunga ma misera terza età. -

Adriano Bonafede

 

16 maggio 2011 —  La Repubblica, Affari & Finanza